C’era una volta Andrea. Andrea camminava su un sentiero, in montagna, un sentiero lungo, di cui non riusciva a scorgere la fine. Camminava, giorno e notte, senza riposarsi, senza fermarsi, senza mangiare, l’unica cosa che sapeva di dover fare era camminare. Il sentiero, quasi sempre, offriva paesaggi meravigliosi: quante albe e tramonti fra le montagne, quante notti stellate, quanti animali fra gli alberi e canti di uccelli; pettirossi e allocchi musicavano le sue giornate e gli tenevano compagnia. Talvolta però, il paesaggio mutava improvvisamente, spaventando Andrea con tuoni, fulmini, lampi, acquazzoni; tutti gli animali correvano a nascondersi e lui rimaneva solo, spaventato su un sentiero ostile.
Andrea non sapeva perché fosse lì, sapeva solo di dover camminare e camminare, fino a un punto non preciso; immaginava che una volta raggiunto lo avrebbe riconosciuto. Non sapeva nemmeno come ci fosse arrivato, tutti i ricordi che aveva, per quanto si sforzasse di tornare più indietro possibile con la memoria, erano su quel sentiero, a camminare. Passarono vari giorni, e il sentiero di Andrea cominciò ad incrociarsi con altri sentieri, di altre persone che camminavano e camminavano, proprio come lui. Qualche volta i sentieri si incontravano una sola volta, per poi allontanarsi per sempre; altre volte, invece, dopo essersi incontrati proseguivano vicini e si intrecciavano nuovamente, per poi separarsi ma restando sempre uno accanto all’altro. Andrea imparò così a conoscere altre persone, a condividere con loro l’esperienza del cammino, i suoi dubbi, le sue gioie. Scoprì che non tutti, come lui, facevano attenzione al canto degli uccelli: altri avevano imparato ad ascoltare il rumore del vento tra le foglie, altri ancora coccolavano piccoli mammiferi, come gli scoiattoli, altri avevano scoperto piccole fragoline rosse lungo tutto il sentiero, deliziose da gustare durante il cammino.
Quando arrivava il temporale però, tutti cercavano di ripararsi a modo loro, senza curarsi più degli altri. Fu il temporale a distrarre Andrea quando cadde. In un giorno particolarmente brutto, solo sul sentiero, poiché tutti si erano allontanati a cercare protezione, Andrea cominciò a chiedersi perché. Perché era li? Chi lo aveva messo su quel sentiero? E dove stava andando? E perché gli altri non erano stati con lui fin da subito? Perché nemmeno loro sapevano dove stessero andando? E perché per loro questo non era un problema? Perché esiste il temporale? Insomma, se qualcuno ti mette su un sentiero, l’unica indicazione che ti dà è “cammina”, non ti dice dove vai, non ti dice perché, non ti dice nulla se non di camminare, e tu accetti e ti fidi, questo qualcuno dovrebbe almeno curarsi che non ci siano pericoli, che il paesaggio sia sempre bello, altrimenti è quasi una presa in giro. Avvolto da questi pensieri, e con il sentiero poco visibile per via dei nuvoloni grigi che avevano nascosto il sole, non si accorse del grosso buco e vi cadde.
Cadde dentro ad un buco e il buco era troppo profondo per riuscire a tornare su, era scivoloso perché aveva piovuto, così Andrea decise di rimanerci per un po’, almeno finché non passava il temporale. Ma il buco era buio, e per questo distinguere giorno e notte, temporale e giorni di sole era impossibile. Andrea aveva sempre visto il sentiero da fuori, dall’alto, e sapeva come affrontare ciò che capitava, giorno per giorno, solo all’esterno. Non era mai stato nel buco, aveva sentito parlare di questa possibilità ma né lui, né nessuno che lo conoscesse ci era mai stato. E così perse la cognizione del tempo, perse le forze, perse gli amici, perse le piccole gioie perché da lì non poteva nemmeno sentire gli uccelli cinguettare e pian piano si abituò a questo. Ad un certo punto si dimenticò del sentiero, era ormai così abituato a stare nel buco che sembrava quello il posto giusto dove stare, il sentiero era un ricordo ormai molto vago, a cui Andrea non riusciva a dare un senso. Se ne stava lì, al buio, nel suo buco a far passare i giorni. Ogni tanto qualche persona passava lì accanto sul sentiero, sbirciava nel buco e, sorpresa di trovarci qualcuno, urlava “Ehi, tutto bene? Che ci fai lì sotto?” e Andrea rispondeva “Tutto bene grazie, sto qui un po’ seduto a riposarmi, buon viaggio!” perché questo era quello che credeva, che fosse lì per riposarsi, ancora per un po’, perché lì si stava bene. Poi un giorno passò qualcuno di più attento e si accorse che c’era qualcosa che non andava, così si ingegnò in qualche modo per trovare un attrezzo utile a tirarlo fuori dal buco. Alla fine trovò un ramo abbastanza lungo, e lo tese nel buco, verso Andrea. Ci vollero tantissimi giorni per tirarlo fuori. Prima questa persona dovette convincerlo a venire fuori, convincerlo che il posto giusto dove stare non era quello, non era un buco nero e buio, ma il sentiero soleggiato, all’aria aperta in compagnia della natura. Una volta convinto, Andrea dovette risalire il buco, tenendosi saldamente aggrappato al lungo bastone che gli era stato porto, ma era da tanto tempo che non si muoveva, che stava seduto e i suoi muscoli non erano più abituati a fare sforzi. Dovette quindi impegnarsi per poter scalare la parete e per farlo impiegò moltissimo tempo. Una volta fuori, improvvisamente si ricordò del sentiero, di quanto fosse bello; lo vide, la luce dell’alba che brillava dietro la sagoma delle montagne, il cielo rosa su di lui, gli uccellini che cinguettavano per annunciare l’inizio di una nuova giornata, l’odore del muschio, l’odore buonissimo degli alberi, le fragoline nascoste sul sentiero. Si accorse improvvisamente di quanto il buco fosse brutto, scuro, buio, con un forte odore di umido, di muffa, silenzioso e allo stesso tempo assordante nei suoi pensieri. Se ne accorse solo una volta uscito.
Andrea, felice, riprese il cammino sul suo sentiero, in compagnia della persona che lo aveva salvato dal buco. Ora però il suo sentiero era pieno di buchi. Alcuni più piccoli, facili da evitare, altri più grandi; a volte per un lungo periodo non incontrava nessun buco, altre volte, invece, ce n’erano moltissimi e riuscire ad evitarli tutti comportava un enorme sforzo per lui. In questi casi, veniva preso dallo sconforto: “Perché devo faticare per evitare tutti questi buchi quando so che più avanti ce ne saranno altri? Tanto vale lasciarsi cadere e smettere di impegnarsi per mantenersi sul sentiero”, ma fortunatamente c’erano persone con lui che gli davano la forza e il sostegno necessari per andare avanti, magari percorrendo un tratto particolarmente accidentato insieme a lui. Imparò alcuni metodi utili, come mettere un bastone sufficientemente lungo sopra al buco per poterlo attraversare: mantenere l’equilibrio era difficile, ma con l’allenamento imparò a non cadere e diventò, anzi, piuttosto veloce. Con il tempo, i buchi sul sentiero di Andrea diventarono sempre più radi e meno frequenti. Ma Andrea sapeva che non se ne sarebbero mai andati del tutto, fino alla fine del suo cammino. Avrebbe cercato di evitarli tutti, senza caderci mai, godendo il più possibile del paesaggio, anche di quello temporalesco, degli incontri fatti, cercando di apprendere il più possibile dalle altre persone e di rilassarsi ascoltando i suoni della montagna, fino alla meta.
Questa è la storia della depressione, di come la vedo io. E’ qualcosa in cui cadi all’improvviso, e in cui non capisci di essere finche non ne esci, diventa la tua realtà: sai che qualcosa non va ma non capisci cosa, perché per te quello è “normale”. E una volta uscito, il rischio di caderci ancora è sempre dietro l’angolo, momenti di stress, momenti tristi che ti tolgono la forza di combattere questo demone. E’ una cosa che non finisce.
Spero che sia stato utile o almeno piacevole leggere questo racconto, a presto, Myxozoa.